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Qualcosa si è inceppato nella società italiana: le promesse di miglioramento associate all’istruzione e al lavoro sempre più spesso non vengono mantenute. Nel nostro paese, in pratica, nel migliore dei casi resti quello che nasci: per un bambino di una famiglia a basso reddito ci vogliono cinque generazioni per entrare nel ceto medio. Anche chi è nato in una famiglia di classe media si trova spesso a fare esperienza di una qualche forma di declassamento. L’Italia assomiglia sempre più a una clessidra con una grande base e una piccola sommità. Stiamo quindi tradendo l’Articolo 3 della Costituzione? La Repubblica non sembra più riuscire a garantire a tutti «il pieno sviluppo della persona umana». Quando in una società conta troppo l’ereditarietà, la coesione sociale è a rischio. Il risentimento verso le élite, lo sprezzo per i poveri, così come il richiamo all’uomo forte sono conseguenze del deficit di mobilità? A pensarci bene, la mobilità sociale non è né di destra, né di sinistra, ma è una questione democratica fondamentale. Le ACLI – nel cui statuto è espressamente indicata la finalità di promozione dei lavoratori e di una società in cui sia assicurato, secondo democrazia e giustizia, lo sviluppo integrale di ogni persona – ritengono che la mobilità sociale sia un argomento cruciale ed urgente, al quale dedicare la 52° edizione dell’Incontro nazionale di studi.

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